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GAMBERO ROSSO, gennaio 2015: “Castello Bonomi. Quel vigneto perso nel tempo”

C’era una volta (parliamo, per darci un timing, del Medioevo) una terra, quella divenuta poi Franciacorta, e per tutta la gente del vino una delle patrie eponime delle bolle all’italiana, la cui vita e organizzazione fu, di fatto, gestita (e dai signori dell’epoca confidata) a piccole comunità di monaci benedettini, quelli che (ricordate?) pregavano sì, ma anche lavoravano, nei campi in primis. I monaci furono dunque esentati, in cambio del loro attivismo bonificatore, dal pagamento delle gabelle; e da lì, si sa, deriva il nome della “curte”, “franca” da imposte. E’ nel cuore della zona, nata evidentemente bene visto l’imprinting “no tax”, e in una delle location francamente più belle e nobili, che abita l’azienda Bonomi. E belli davvero sono i vigneti, che salgono su fin quasi a 300 metri, lungo spettacolari terrazzamenti: 24 ettari in tutto, tra i più prossimi al Castello e gli altri, vigne messe su a partire da barbatelle francesi. A gestire tutto, una famiglia (i Paladin) a full immersion nel vino, visto che è attiva e produce anche a Vèscine nel Chianti Classico e a Bosco del Merlo in Veneto. Qui in Franciacorta, dove Bonomi è anche una “università del vino” con serate speciali, corsi, degustazioni mirate ecc, base della loro gamma è il Cru Perdu, il cui nome deriva da un vecchio, leggendario vigneto di Pinot Nero fagocitato nel tempo – perduto … – dal bosco con cui la tenuta confina in alto. Il recupero e il lavoro fattoci su sono, oggi, bellissima cronaca.

CRU PERDU: Una bolla via l’altra (nel nostro caso un Franciacorta via l’altro: meglio sottolinearlo onde evitare anatemi): cosa meglio come calice da festa d’estate? Il Cru Perdu di Bonomi poi, oltre a essere un gran bicchiere e un bell’esempio di come un “base” giusto sia pietra angolare della forza di un’azienda, ha anche una storia da narrare. Quanto al vino, 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero, 36 mesi sui lieviti e 12 in bottiglia, naso fragrante e intenso, crosta di pane croccante e fiori bianchi, poi note di ananas e pesca bianca, in bocca è pieno ma fresco, di bella e solida tensione. Aperitivo impeccabile, ma da tavola di mare.

Antonio Paolini