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Il Punto Salute – Viticoltura ragionata e biologica in Franciacorta, 26 aprile 2017

Sulle pendici del Monte Orfano sorge maestoso Castello Bonomi, un originale edificio in stile Liberty progettato alla fine dell’800 dall’architetto Antonio Tagliaferri, che dà il nome a una realtà aziendale dinamica: i vigneti di Castello Bonomi, appartenenti alla famiglia Paladin.

I 24 ettari di vigneto, sviluppati a gradoni, recintati e circondati da un parco secolare, rappresentano l’eccellenza di questi luoghi densi di piccoli borghi e palazzi carichi di storia e fascino.

Siamo in Franciacorta dove, da anni, la famiglia Paladin è impegnata a ottenere un’alta qualità del vino, nel rispetto dell’ambiente, della salute dei consumatori e dell’etica sociale. “Nel 2009 con il supporto dell’azienda, i consulenti agronomi dello Studio Sata, il coordinamento del Prof. Leonardo Valenti dell’Università Statale di Milano, abbiamo iniziato un percorso a livello sperimentale legato alla sostenibilità della viticoltura che coinvolge diversi aspetti produttivi e ambientali. Insieme vorremmo mettere a punto un nostro protocollo di sostenibilità e poi certificarlo”, racconta Luigi Bersini, Chef de Cave della Castello Bonomi.

Con il progetto Ita.Ca, Castello Bonomi e altre 50 aziende in tutta Italia si impegnano a creare un calcolatore che valuta le emissioni carboniche e stima il saldo di anidride carbonica (CO2) dell’azienda.

“Produrre o sfruttare energia da fonti rinnovabili, utilizzare lampadine a basso consumo, diminuire il peso del vetro della bottiglia da 920 gr. a 880 gr. sono le strategie messe in atto per ridurre del 10/20% la produzione di CO2”, spiega lo Chef de Cave.

Un altro obiettivo è la conversione al biologico. “L’azienda Bonomi svolge, infatti, una Viticoltura Ragionata. Il nostro gruppo si propone di ridurre del 50% la quantità di anidride solforosa prevista dalla legge per tutti i nostri vini principali – precisa Bersini -. Noi poniamo una grande attenzione all’ambiente anche durante le fasi produttive. Le macchine effettuano una pressatura molto leggera che consente di estrarre meno del 60% di mosto previsto dal disciplinare”. Un altro aspetto della viticoltura ragionata riguarda il consumo dell’acqua. “Secondo la nostra idea – spiega Bersini – la pianta si deve adattare all’ambiente in cui vive, e deve avere poca esigenza d’acqua. Nel 2000, 2001 e per diversi anni fino al 2007, insieme all’Università, abbiamo fatto alcune prove di irrigazione. E’ emerso che i vitigni hanno una forte adattabilità al cambiamento climatico e se li abituiamo al cosiddetto “stress controllato”, cioè man mano che andiamo avanti irrighiamo sempre meno, arrivano a resistere, senza problemi, anche a un’annata caldissima come quella del 2015. Ovviamente, i vigneti vecchi hanno radici più profonde e riescono a estrarre più sostanze, più sali minerali. Se è necessario facciamo irrigazioni di soccorso solo sui vigneti giovani. Bisogna considerare, tra l’altro, che l’acqua non accresce la qualità”.

A Castello Bonomi c’è anche una capannina meteorologica che registra temperature e millimetri di pioggia. “Così è possibile conoscere la temperatura, quanta pioggia è caduta, per quanto tempo la foglia è rimasta bagnata, se la bagnatura è stata notturna o diurna. E’ importante avere questi dati perché fino a un certo numero di ore non c’è pericolo di malattia e, qualora vi siano rischi, si può prevedere tempestivamente il tipo di patologia o fungo che potrebbe attaccare la pianta. Nel tempo siamo riusciti, così, a risparmiare 4/5 trattamenti all’anno”.

In cantina non sono utilizzati il caseinato di potassio e le proteine animali che provocano l’insorgere di allergie. “Possiamo considerarci anche vegani e facciamo solo chiarifiche e decantazione statica – afferma Bersini -. E poi utilizziamo lieviti non indigeni, ma selezionati. Quando termina la fermentazione, il lievito assorbe le tossine, per poi essere rimesso in sospensione ciclicamente, in base alle fasi, alla degustazione e all’esigenza. Quando lo si estrae, il lievito che in origine è di colore bianco/giallino risulta marrone perché ha assorbito molte delle sostanze che generalmente si eliminano con un caseinato o con l’albumina. I nostri vini, poi, si stabilizzano in bottiglia”.

Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco sono i vitigni della Franciacorta. “Le viti sono trattate con la quantità di rame annua prevista dal disciplinare e allevate senza consumo di acqua perché, come ho detto prima, la pianta si deve adattare all’ambiente in cui vive. Inoltre, da 15 anni a questa parte, siamo passati da una concimazione mista chimico/organica, a una concimazione totalmente organica senza nessun impoverimento del terreno”.

I vitigni sono anche monitorati da sensori presenti su trattori che forniscono le mappe di vigore. “Una zona vigorosa è ricca di piante con numerosi tralci e frutti ed è più soggetta ad attacchi di malattie funginee – spiega Bersini -. L’obiettivo delle rilevazioni è quindi quello di ridurre il vigore in questi terreni e aumentarlo nelle zone meno produttive, in modo da uniformare la crescita delle uve”.

Tali interventi consentono la produzione di vini equilibrati, longevi, minerali, di carattere, con aromi complessi e una eccellente persistenza olfattiva e gustativa. Attualmente l’azienda produce 100.000 bottiglie all’anno, quasi esclusivamente di Franciacorta, nelle varie tipologie.

“Abbiamo scelto di lavorare solo con Chardonnay e Pinot Nero, e per alcuni Franciacorta arriviamo addirittura al 100% di Pinot Nero, con enormi soddisfazioni e riconoscimenti. Lucrezia Etichetta Nera 2004 ne è un esempio: un blanc de noir premiato come Miglior Vino Spumante agli Oscar del Vino 2014 di Bibenda (Fondazione Italiana Sommelier) e che nello stesso anno ha vinto i 5 Grappoli di Bibenda, premio riconfermato anche nel 2016 per Lucrezia Etichetta Nera 2006”.

Clementina Speranza e Simone Lucci